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Area di Ricerca & Autodifesa - Intervista esclusiva a Stratos, Fariselli e Tofani
 

PAOLO TOFANI

D. - Ti va di parlare, anche tu del tuo ingresso in Area ?

R. - E' ormai retorica, comunque rifacciamo tutta la storia. Dopo l'esperienza dei Califfi, stufatomi delle solite copiature, del solito commerciale, parto per l' Inghilterra.

I primi momenti ho dovuto aggiustarmi con diversi lavoretti (commesso, cameriere etc.) e poi ho cominciato a dare un'occhiata all'ambiente musicale. Così, cominciai a rispondere agli annunci di musicisti su Melody Maker.

L'esperienza fu penosa, allucinante e così capii l'impossibilità di poter fare un discorso di gruppo. E, partii da solo con un revox, con delle basi e sopra ci suonavo diversi strumenti e cantavo.

In questo modo ho girato molti clubs, molti pubs londinesi e arrivai quasi a firmare un contratto con la MCA, quando dall'Italia mi telefona Mamone e mi chiede se voglio lavorare per gli Area. Allora, biglietto pagato e tutto in regola torno in Italia. Erano i tempi di Arbeit Mach Frei: l'impatto di questa musica con la gente fu veramente disastroso, la musica era troppo fuori e la gente non capiva. Nel frattempo, c'erano stati molti cambiamenti, fino a quando la formazione si è definitivamente strutturata.

D. - Quale pensi sia stato allora il tuo contributo ?

R. - I pezzi in Arbeit più o meno erano già tutti montati, però per la parte elettronica non c'era nulla, quindi per le sound il mio intervento è stato abbastanza importante, sviluppandosi a gradi, con punta massima nell'Abbattimento dello Zeppelin, dove ho avuto molto spazio. Ma un po' in tutti i pezzi c'è il mio intervento, che forse era più elettronico che chitarristico. Per esempio, penso a Settembre nero dove l'inizio era stato pensato per il clarino mentre io ho voluto farlo elettronicamente. La cosa poi si è sviluppata con Caution, dove ho avuto molto spazio (basti pensare a Lobotomia).

D. - Ritorniamo alle esperienze. Un tratto comune degli Area è che tutti avete fatto esperienza nella musica pop, nelle balere

R. - Si, nel mio caso la mia esperienza è tipica del musicista italiano. Io ho cominciato nel '62-'63 lavorando con altri amici di Livorno: il gruppo si chiamava Samurai, e c'era Lorenzi che ha fatto parte del Volo, c'era Gigi Minucci anche lui molto preparato e bravo. Con questi elementi c'era già stato un primo approccio al jazz, e tuttavia abbiamo dovuto farci quattro anni di dancing dalle 21 alle 4, tutte le sere.

Una sera ad Alassio capita un tipo che ci offre di andare a suonare in Inghilterra. Dopo un po' di tentennamenti, accettiamo e così tre sere dopo siamo a Manchester: una specie di Casinò, dove suonavamo di tutto e guadagnavamo benino. Però, essendo molto giovani, abbiamo perso la testa e sprecato tutti i soldi. Così, dopo l'euforia iniziale, siamo ritornati in Italia.

Ed io andai a fare il militare. Ritornato dalla leva passai ai Califfi. E poi, sai già...

D. - Passiamo al tuo strumento: la chitarra.

R. - Da principio la chitarra lo vissuta secondo i canoni di quegli anni: stile, velocità, manie. Ma, sentivo che c'era qualcosa che non andava, il mio lavoro con l'elettronica mi spingeva a spostare anche lo strumento stesso verso una fase di ricerca.

Però, era molto difficile abbinare ricerca e chitarra, e fino a che una sera a Londra mi è capitato di sentire Derek Bailey. Bailey mi ha fatto scoppiare delle idee, delle molle per utilizzare la chitarra in maniera diversa.

Infatti, se guardi la discografia Area, sotto il profilo del lavoro chitarristico, puoi accorgerti di uno sviluppo progressivo fino a quel assolo in Areazione dove si respira un aria un po' baileiana, però sempre con degli effetti elettronici precisi.

E oggi, il mio odio per la chitarra è cresciuto a tal punto che finirò per vendere il Gibson, cioé la uso come lo usata nel mio disco per la "Diverso" o non la uso.

Attualmente, riesco a concepire un uso serio della chitarra solo se passata attraverso una macchina elettronica che mi possa permettere una vasta sonorità, che altrimenti non sarebbe possibile ottenere.

Questo è appunto il risultato del mio ultimo disco per la "Diverso": e l'ho chiamato indicazioni, perché sono diversi usi, indicazioni appunto, per un altro modo di usare la chitarra, l'unico che riesco a concepire.

Questo lavoro l'ho voluto fare usando un linguaggio più accessibile, con più comunicabilità, totalmente diverso dal panorama della musica contemporanea.

Ho cercato di fare qualcosa che non rimanga nei musei, che superi questa impermeabilità di comunicazione che hanno i dischi di musica colta da 20 anni a questa parte.

D. - A questo punto è necessario parlare della improvvisazione. Sei dello stesso punto di vista di Demetrio e di Patrizio o ti discosti?

R. - Anch'io credo nell'improvvisazione. Certo, che l'improvvisazione ha due faccie: quella senza nessun aggancio e quella con una struttura.

Nel mio disco, io ho lavorato con una struttura a monte che mi ha permesso di muovermi in una certa maniera. In questo senso, mi sono piaciute le esperienze che abbiamo fatto con Lytton alla Statale e in Svizzera. Mi hanno permesso di avvicinarmi alla personalità di questo percussionista inglese ed è stato uno scambio molto interessante, credo per entrambi.

Ti dico, visto che siamo nel discorso, che il mio disco è stato fatto tutto dal vivo, cioé non ci sono sovraincisioni. Pertanto è materiale facilmente riproducibile in pubblico, con possibilità di dibattito di intervento su questa musica.



D. - Vorrei riproporre il problema del materiale rock jazz trattato in Maledetti in modo piuttosto sbracato. Che ne dici?

R. - II nostro problema è sempre stato quello di comunicare, pur senza scendere a particolari compromessi.
Per esempio Crac era un disco abbastanza facile come situazione sonora, come contenuti.
Perché eravamo più contenti, avevamo passato il periodo negativo di Caution, il movimento aveva fatto un salto, così sono venuti fuori questi pezzi fluidi, tranquilli in una dimensione folk rock, ma pur sempre in un preciso contesto.

In Maledetti (penso che tu ti riferisca ad Aforisma urbano e a Rasoio) quei due pezzi sono venuti fuori così perché c'era l'esigenza di farli uscire così... Io mi sono divertito in quei pezzi, era un po' uno sganciarsi dall'atmosfera dei due precedenti dischi. Da questo però a dire che Area è ancora in quella dimensione e non riesce a staccarsi non è vero? lo testimonia tutto il lavoro.

D. - Torniamo agli strumenti. Parlaci un po' della tua esperienza con il sintetizzatore.

R. - Il primo contatto con il sintetizzatore l'ho avuto a Londra alla MIS dove facevano e fanno il famigerato VCS3, dove ci ho lavorato per due anni.

Da lì ho cominciato il mio rapporto con l'elettronica che all'inizio è stata una ricerca effettistica scontata, però c'era la volontà di approfondire.

Così ho cominciato a studiare elettronica, per capire esattamente cosa succede quando giochi con la corrente. Ho sentito l'esigenza ad un certo punto, poi di cambiare strumento, cioé passare dal VCS al Tcherepnin.

Questo strumento è completamente modulare e ti da una grandissima vastità sonora, cioé non ti condiziona perché le sue capacità sono limitate, ma sono le tue possibilità che devono condizionarla.

E l'abbinamento chitarra sintetizzatore mi sembrava inevitabile, considerate le mie esperienze. Il lavoro che voglio portare avanti adesso è esplorare le diverse dimensioni sonore e dare delle indicazioni sull'uso della chitarra e del sintetizzatore.

In questo momento c'è il progetto di lavorare in solo, cioé chitarra e macchine varie per la Regione Lombardia.

D. - Altri progetti?


R. - Sto pensando, già da diverso tempo, di fare un lungo viaggio (per questo mi sono comprato un furgone tutto attrezzato) che a questo punto è diventato necessario.

Un viaggio perché vorrei fare nuove esperienze di vita, e poi sulla strada continuare la mia ricerca musicale (penso di portarmi appresso un generatore di corrente, la Gibson, una coppia di altoparlanti).

II mio viaggio si muove verso est, attraverso tutti i vari Paesi dell'Oriente dove musicalmente ci sono ancora delle cose folli fino in Giappone, dove mi fermerò un po' (visiterò delle fabbriche di elettronica interessanti), e poi passo il Pacifico per la West Coast: Los Angeles.

E qui, mi stabilirò, sicuramente, per un certo periodo. Negli USA, come sai, la ricerca è molto avanti, e i mezzi a disposizione sono molti: computers, sintetizzatori etc. Quindi, entrato in una situazione quasi ottimale penso di poter sviluppare le mie attitudini verso questo tipo di ricerca. La cosa è interessantissima e penso solo allora di prendere il "volo".

D. - Il tuo viaggio compromette qualcosa in Area?


R. - Le ipotesi possono essere molteplici: mi rompo i coglioni e allora torno indietro, oppure sto talmente bene che non torno più indietro, o ancora sto via 6-7 mesi e poi ricomponiamo la struttura. Vedremo.

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R. Masotti Tratto da GONG marzo 1977